Giugno - Dicembre 2017
172 corso Allievi Agenti Polizia Penitenziaria
§1. La formazione iniziale di 887 allievi agenti che si apre nella primavera 2017 per motivi
organizzativi e per i tempi necessari allo svolgimento delle procedure preliminari sarà
erogata in due corsi.
Nello specifico il 172° (CLXXII) corso, per 422 unità, avrà luogo nelle sedi formative di
Cairo Montenotte, Catania, Roma e Sulmona con inizio il 7 giugno e termine il 15
dicembre.
Il decreto del Ministro della Giustizia 23 dicembre 2016 stabilisce la durata dei corsi per
l’immissione nel ruolo degli agenti per il biennio 2017-2018 in sei mesi.
Gli allievi sono stati individuati dalle graduatorie degli idonei ai concorsi del 2011 e del
2013.
Gli allievi dei due corsi sono caratterizzati dalla comune esperienza nell’Esercito anche se
differenziata per attualità e durata;quindi gli allievi presentano caratteristiche di notevole
eterogeneità per esperienze personali, percorsi professionali ed età.
La formazione iniziale è il luogo di imprinting professionale che il neoassunto riceve ed è la
prima fase di socializzazione al lavoro. Per questo motivo, tutti i servizi (scuole,istituti
penitenziari, provveditorati regionali) e tutti gli attori (staff delle scuole docenti, tutor e
trainer, colleghi anziani) hanno un ruolo ed una responsabilità nel percorso di costruzione
dell’identità professionale del futuro operatore soprattutto per ciò che concerne la cultura
professionale, l’identificazione nei valori dell’Amministrazione e la prefigurazione del
futuro professionale.
La formazione è riconosciuta da tutti come leva strategica del cambiamento delle
organizzazioni. L’inserimento di un così consistente numero di persone rappresenta
l’opportunità per radicare una cultura professionale adeguata alle richieste
dell’ordinamento. In un ambiente molto complesso ed in continua evoluzione quale quello
penitenziario,l’acquisizione di conoscenze non è però mai esaustiva: la strategia formativa
per i neoassunti non è quindi un trasferimento di nozioni o di acquisizione di pratiche
operative, ma è stimolare una disposizione attiva verso il lavoro fondata sulla continua
elaborazione dell’esperienza e sull’autoriflessione.
Occorre,cioè,“insegnare ad apprendere”.
§2. Il programma di formazione tiene conto delle attuali esigenze del contesto lavorativo, dei
mutamenti in ambito organizzativo, dei modelli di gestione della sicurezza in linea con gli
indirizzi che l’Amministrazione ha dato, della composizione della popolazione detenuta,
delle attuali priorità in termini di sicurezza.
Ogni corsosi articola in due cicli didattici di tre mesi, al termine dei quali è previsto,
rispettivamente, un giudizio globale di idoneità ed un esame finale.
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I periodi della formazione che si realizza nelle sedi formative (scuole ed istituti di
istruzione) e quella sul luogo di lavoro sono ripartitirispettivamente in due terzi eun
terzo.
L’organizzazione didattica tiene conto della propedeuticità e della gradualità
nell’apprendimento privilegiando, nel primo ciclo, il perseguimento di obiettivi didattici
volti all’acquisizione delle conoscenze di fondo necessarie all’esercizio del ruolo, alla
consapevolezza delle competenze e dei doveri che derivano dall’appartenenza ad un
Corpo di polizia.
Il secondo ciclo è più orientato alla sperimentazione del ruolo, all’approfondimento ed al
completamento della formazione.
Si tratta quindi di un lavoro mirato a fornire le basi della professionalità (hard skills) che
qualifica un appartenente al Corpo attraverso il sostegno alla motivazione e alla
consapevolezza dei compiti e dei doveri,con attento presidio al processo di assunzione del
ruolo.
§3. L’esame dell’andamento dei precedenti corsi fa emergere anche la necessità di
dedicarespazioe supporto alla costruzione del ruolo a partire dalla percezione del singolo
allievo che spesso risente di visioni stereotipate e di risonanze emotive collettive non
corrispondenti alla realtà lavorativa nella quale l’agente sarà presto inserito.
La missione dell’Amministrazione penitenziaria è peraltro, espressione complessiva
dell’art. 27 della Costituzione e nel suo ambito si collocano i valori del Corpo quali
elementi identitari imprescindibili.
Il costante e trasversale impegno dei docenti e dello staff didattico delle scuole si volge
pertanto all’assimilazione di tali fondamenti e all’auspicabile identificazione con essi.
In un percorso di soli sei mesi non è realistico raggiungere l’obiettivo di consegnare
all’operatività un agente in grado di misurarsi, fin da subito, con realtà organizzative
anche molto differenti, con specifici approcci operativi alla popolazione detenuta in
ragione dei circuiti, delle caratteristiche dei detenuti ristretti, delle consuetudini locali.
La strategia formativa è dunque quella di enucleare i cardini che orienteranno la futura
professionalità e focalizzare l’apprendimento su obiettivi ben chiari.
L’allievo alla fine del percorso dovrà avere acquisito:
a) la visione del proprio ruolo quale tutore della legalità:il rispetto dei diritti e della
dignità delle persone ristrette non è soltanto un assunto etico e deontologico, ma è
condizione principale per la salvaguardia della sicurezza;
b) le tecniche operative proprie del ruolo;
c) l’apprendimento dei modelli operativi adeguati alle specificità dei differenti circuiti
penitenziari;
d) la sorveglianza dinamica come principale approccio organizzativo ed operativo;
e) la conoscenza della persona quale metodo di lavoro applicabile in tutti i contesti e
per tutte le finalità;
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f) la flessibilità quale caratteristica che consente di saper svolgere la parte
discrezionale del ruolo con la consapevolezza delle regole, nel rispetto delle
differenze;
g) la cooperazione tra appartenenti al Corpo e con le altre figure professionali come
modalitàprivilegiata per raggiungere i fini istituzionali.
§4. Le competenze trasversali (soft skills) indispensabili per operare nella legalità e nella
sicurezza, la partecipazione ai percorsi trattamentali e di reinserimento delle persone
condannate, qualificano e differenziano la professionalità degli appartenenti al Corpo da
quella delle altre Forze di polizia e la formazione ne recepisce la centralità.
La collocazione in un contesto interprofessionale richiede infatti che cooperazione e
collaborazione siano il metodo di lavoro che consenta di raggiungere gli obiettivi
istituzionali e che costituisce la migliore garanzia per la sicurezza e la protezione dai rischi
professionali quali burn out o altri disagi derivanti dal contatto con la sofferenza.
Il tema della sorveglianza dinamica verrà approfondito nelle specifiche declinazioni
operative, mostrando come tale metodo resti qualificata la professionalità dell’agente al
quale chiedere un ruolo attivo e partecipativo ai processi di lavoro.
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